Fairtrade partner di sostenibilità di Educhef 2024
A ottobre 2024 prende il via Educhef, il corso di educazione alimentare dedicato al personale dell'Università di Padova.
Continua a leggereQuando ho fatto il cambio di stagione, complice il periodo di quarantena, ho pensato molto a cosa significhi essenzialità nel vestire, e a come fare in modo che il mio desiderio di spendere poco non finisca con il far pagare un conto salato a qualcun altro, o all’ambiente.
Per capire quale sia l’impatto ambientale della fast fashion partiamo dall’uso massiccio di fibre plastiche di scarsa qualità: i capi sintetici in poliestere e acrilico rilasciano migliaia di microfibre a ogni lavaggio. Si stima che ogni anno un milione di tonnellate di queste fibre finiscano negli scarichi e che più di metà sfuggano ai filtri e finiscano in fiumi, laghi, oceani. I peggiori di tutti? Quegli asciugamani e accappatoi fini fini che ingombrano così poco.
Anche i sistemi di produzione di viscosa tradizionali, pur partendo da materie prime rinnovabili come la cellulosa del legno, impattano sull’ambiente per l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose che possono venire disperse nelle falde se non trattate adeguatamente. Lo stesso vale per le fasi di colorazione o sbiancamento.
La coltivazione intensiva del cotone richiede quantità esorbitanti di diserbanti e acqua e causa deforestazione, impoverimento del suolo, prosciugamento delle risorse idriche. Per diminuire l’impatto ambientale dei tuoi acquisti in questo caso posso scegliere il cotone biologico, che consuma fino al 90% in meno di acqua rispetto a quello convenzionale, o quello Fairtrade, che grazie all’ottimizzazione dei processi riduce di un terzo il consumo di acqua.
La fast fashion inoltre per sua natura aumenta la quantità di rifiuti tessili prodotti: a livello di consumo perché siamo incentivati ad acquistare più vestiti, a portarli per meno tempo e poi a buttarli; a livello di produzione invece la velocità con cui cambiano le collezioni porta a sovraprodurre e poi a scartare l’invenduto. Spesso l’abbigliamento si trasforma in rifiuto ancora prima di essere indossato una volta.
Gli abiti dismessi in buono stato possono essere recuperati e avere una seconda vita nei mercatini dell’usato e nelle distribuzioni della caritas. Ma le magliette bucate, i vestiti scuciti, i pantaloni strappati diventano solo stracci difficilmente riciclabili: una parte finisce in striscioline per l’imbottitura di pannelli isolanti destinati all’edilizia, di sedili per auto o altro. La maggior parte viene spedito nei paesi più poveri o finisce in discarica.
Ecco i miei consigli per comprare meno e meglio:
PER TUTTI
PER VERE APPASSIONATE
Giulia Camparsi, product manager Fairtrade Italia