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Continua a leggereUn appello di Impresa 2030 ai Ministri Giorgetti e Urso perché il nostro Paese rispetti l’impegno politico tra Consiglio e Parlamento UE del dicembre scorso.
In vista del voto del comitato dei rappresentanti permanenti dei governi dell’UE (COREPER) di venerdì 16 febbraio a Bruxelles, le organizzazioni appartenenti alla campagna “Impresa 2030 – Diamoci una regolata” (ActionAid Italia, Equo Garantito, Fair – Campagna Abiti Puliti, Fairtrade Italia, FOCSIV, Fondazione Finanza Etica, Human Rights International Corner, Mani Tese, Oxfam Italia, Save the Children, WeWorld) chiedono ai Ministri Giorgetti e Urso di rispettare l’accordo politico tra Consiglio e Parlamento UE del 14 dicembre 2023.
L’accordo politico per il varo della Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese in materia di diritti umani e ambiente (CSDDD o CS3D) era stato raggiunto dal Consiglio UE e dal Parlamento Europeo il 14 dicembre 2023. La scorsa settimana, esattamente venerdì 9 febbraio, tale accordo avrebbe dovuto essere ratificato dagli Stati Membri ma il voto è stato rinviato per permettere alla presidenza di turno belga di trovare una soluzione all’astensione dichiarata dalla Germania e a quella ventilata dall’Italia. Chiediamo al governo italiano e in particolare ai Ministri competenti, Giorgetti e Urso, di mantenere l’impegno politico già negoziato e di non perdere questa opportunità storica.
La direttiva CS3D garantirebbe nei fatti una maggiore uniformità e certezza del diritto, riducendo i costi della concorrenza sleale dei prodotti provenienti da fornitori extra-UE che si troverebbero, a quel punto, obbligati a adattarsi agli standard in materia di tutela dei diritti umani e dell’ambiente. Necessità di regole comuni riconosciute anche da Business Europe, la rete delle principali associazioni industriali europee, tra cui Confindustria.
Non si tratta solo di regole comuni ma anche di tutela del tessuto produttivo italiano: le PMI si trovano spesso a dover subire contratti predatori e pratiche commerciali che possono indurre violazioni dei diritti umani, dei diritti del lavoro e dell’ambiente. La direttiva si preoccupa di prevenire e gestire tali dinamiche, chiedendo alle aziende di grandi dimensioni di rivedere le clausole contrattuali più vessatorie in questo senso.
Nei giorni scorsi sui giornali italiani sono stati pubblicati una serie di articoli sulla direttiva CS3D che avevano come chiaro effetto atteso quello di minare l’ampio consenso finora espresso anche dalla Business Community sulla direttiva. Per questa ragione, in coda a questa news trovi alcune Q&A dei contenuti più ricorrenti in modo da riportare il dibattito tra gli stakeholder sui binari della correttezza storica e fattuale.
Cos’è la direttiva?
Il 23 febbraio 2022 la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, volta a evitare la frammentazione e a fornire certezza giuridica alle imprese e ai cittadini. La proposta stabilisce norme sugli obblighi in materia di dovere di diligenza delle società relativamente agli impatti negativi effettivi e potenziali sui diritti umani e sull’ambiente sull’intera catena di valore, sulla responsabilità civile e sulla protezione delle persone che segnalano violazioni. Le autorità di controllo designate dagli Stati membri saranno incaricate di applicare la nuova direttiva. Essa sarà in linea con le norme internazionali in materia di diritti umani e protezione dell’ambiente.
In Italia si è attivata fin dal 2022 la campagna nazionale Impresa 2030 mentre a livello europeo opera la campagna Justice is Everybody’s business che ha raccolto oltre 100.000 firme.
Le ore precedenti al voto in Coreper del testo finale della Direttiva Europea sulla Dovuta Diligenza (CSDDD), previsto lo scorso 9 febbraio, è stato caratterizzato da una narrazione confusa e fuorviante, alimentando un allarmismo non giustificato. Facciamo un po’ di chiarezza:
No. Al contrario, ridurrebbe i costi di dumping sociale e ambientale che spesso svantaggiano le aziende italiane ed europee rispetto alle imprese extra-UE.
La Direttiva favorirebbe, inoltre, la creazione di un terreno di gioco comune, armonizzando le diverse norme già esistenti (ad esempio in Francia e in Germania) e riducendo pertanto i costi di compliance, come sottolineato da a Business Europe.
In Germania esiste dal 2021 una legge sulla due diligence che impatta anche aziende italiane. La posizione del Governo tedesco è mutata a seguito del veto posto dal Partito Liberale Democratico (FDP), partito di coalizione sotto il 4% nei sondaggi. Mentre 2/3 dei partiti della coalizione di governo, sostengono il testo.
La direttiva è frutto di anni di negoziati in ambito UE e si inserisce in un quadro europeo ed internazionale in cui diversi Paesi hanno adottato norme in materia di trasparenza e due diligence. A fronte di un quadro normativo così frammentato, la direttiva ha come obiettivo principale quello di armonizzare gli standard, garantendo la certezza del diritto e riducendo i costi di compliance.
4. È vero che il mondo delle imprese italiane e di altri paesi è preoccupato dal varo della normativa?
Migliaia di imprese che operano in Europa si sono ampiamente espresse a favore della direttiva con posizionamenti pubblici: Cocoa coalition (che include Ferrero, Unilever, Nestlè), AIM European Brand Association a cui aderisce l’associazione italiana dell’industria di marca Centromarca con 200 grandi e piccole aziende italiane, il mondo delle imprese dei paesi scandinavi, la coalizione delle imprese Business for a Better Tomorrow, e gli oltre 2400 membri rappresentati da Amfori.
Il negoziato è frutto di anni di dibattito, consultazioni pubbliche e analisi che vengono svolte da anni La direttiva ha l’obiettivo di tutelarle da pratiche di mercato aggressive che spesso le costringono ad abbassare i propri standard sociali e ambientali per essere competitive. Aspettiamo che lo studio sia reso pubblico.
La direttiva non si applica alle PMI in modo diretto, ma potrebbe avere delle conseguenze indirette. Ad esempio può rafforzare le aziende di medie e piccole dimensioni italiane perché prevede una suddivisione più equa di costi con le grandi imprese e protegge il made in Italy dalle aziende estere che non rispettano requisiti ambientali e sociali.
Un’impresa non è ritenuta responsabile nel caso in cui il danno sia stato causato esclusivamente dai suoi partner commerciali nella sua catena di attività. Solo in caso di danni prodotti da condotta intenzionale o negligente rispetto alla mancata adozione di misure di prevenzione adeguate e ragionevoli si genera una responsabilità.
Falso. Oltre mezzo milione di persone nell’ambito della consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea, hanno chiesto una legge per imprese responsabili delle loro condotte: prevenire, mitigare e rimediare agli impatti negativi sui diritti umani, compresi i diritti del lavoro e a tutela dell’ambiente.