Con la campagna “Good Clothes, Fair Pay” Fairtrade chiede regole più ambiziose per il settore moda. Ancora 5 mesi per la raccolta firme
Gli abiti rappresentano il nostro stile e la nostra individualità, e per anni hanno accompagnato l’emancipazione delle donne, dai pantaloni di Coco Chanel negli anni ’20 alle minigonne degli anni ’60 fino ai crop top degli anni ’90. Ma le persone che producono i vestiti, prevalentemente donne in Paesi molto lontani da quelli in cui i capi vengono acquistati, devono affrontare insicurezza e continue violazioni dei loro diritti. Il loro salario non è sufficiente per soddisfare le loro famiglie o mandare i figli a scuola, sono poco tutelate dalle leggi sul lavoro e le loro condizioni lavorative sono molto faticose, quando non addirittura pericolose.
Gli effetti collaterali della fast fashion
Non se ne parla ancora abbastanza: il modello della fast fashion si basa sulla sovrapproduzione e lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici più vulnerabili. Ad oggi l’80% degli addetti nel settore tessile è donna. Le donne sono essenziali per l’industria della moda, ma sono molto più vulnerabili degli uomini: subiscono degli abusi, sono costrette a straordinari forzati o non pagati, deduzioni dallo stipendio e violenza di genere. Nonostante le giornate lavorative possano arrivare fino a 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, faticano a sbarcare il lunario. A seconda dei paesi, sono pagate dalle due alle cinque volte in meno di quello che dovrebbero per mantenere sé stesse e le proprie famiglie .
La campagna “Good Clothes, Fair Pay”: più obblighi per le aziende
L’Unione Europea in questi mesi sta dibattendo per una corporate due diligence : le grandi aziende che vogliono vendere i loro prodotti all’interno dell’UE dovranno operare in modo che i diritti dei lavoratori delle loro filiere e dell’ambiente siano rispettati. L’attuale proposta in discussione non fa distinzioni di genere, come sottolineato dal network Fairtrade insieme a più di 80 organizzazioni tra ong e sindacati che sostengono la campagna Good Clothes, Fair Pay. Per questo e per non lasciare indietro donne e ragazze, chiederemo al Parlamento europeo che il testo finale della Direttiva integri le questioni di genere ad ogni stadio del processo di due diligence: identificazione dei rischi, monitoraggio delle misure intraprese per prevenire e mitigare, fondi per ricorso alla giustizia da parte delle vittime. Altrimenti sarà impossibile ridurre la discriminazione, il sessismo e gli abusi sessuali, le paghe disomogenee, o migliorare per le donne la conoscenza del loro diritti.